I trascendentali dell'essere


 

 

1. L'origine della dottrina dei trascendentali
Il tema dei trascendentali si presenta storicamente all'inizio del XIII secolo: la prima trattazione esplicita è nella Summa de bono (1236) di Filippo il Cancelliere; in Aristotele era già presente l'identità metafisica tra unità ed ente, come pure nel corpo aristotelico risultano le nozioni di verum e bonum, ma manca una trattazione sistematica.
L'elaborazione più compiuta è quella di S. Tommaso ed il tema è poi ripreso costantemente nella scolastica successiva.
L'ente è la prima realtà afferrata dall'intelligenza e tutto ciò che è conosciuto è un ente, ma la nozione di ente non è predicata sempre in modo univoco.
La nozione di ente è analogica: sostanza e accidenti, potenza e atto, creatura e Creatore.
Diverse determinazioni:
a) predicamentali: modi particolari o specifici di essere;
b) trascendentali: aspetti appartenenti all'ente in quanto tale, che trascendono i predicamenti convenendo a tutti.
Chiarimento sul concetto di trascendere:
a) trascendente: superiorità di ordine: - assoluto (Dio) - relativo (spirito, vita, ecc...)
b) trascendentale: superiorità rispetto alle categorie: - kantiano (del soggetto, a priori) - aristotelico, classico (conviene a tutte le categorie).

2. I trascendentali nel De Veritate
 La dottrina sui trascendentali è contenuta in particolare in due questioni del De Veritate: nella questione 1, che dà il nome a tutto il trattato, si affrontano, nel primo articolo, i trascendentali in generale, mentre, nei successivi articoli, il verum; nella questione 21 si tratta invece il bonum.
Il De Veritate contiene in tutto 29 questioni che furono disputate a Parigi in tre anni accademici dal 1256-57 al 1257-58.
Nell'art. 1 della questione 1, S. Tommaso, dopo aver indicato che "ciò che innanzitutto l'intelletto concepisce come la cosa più nota di tutte e in cui risolve tutti i concetti è l'ente" e che "all'ente non si può aggiungere qualcosa come estraneo", afferma che, come abbiamo detto sopra, si possono aggiungere all'ente altri significati in due modi: il primo attraverso i predicamenti, che esprimono modi di essere dell'ente, il secondo, esprimendo "un modo generale che consegue ad ogni ente".
Questo secondo modo di esprimere alcune proprietà che caratterizzano ogni ente, che abbiamo denominato col termine trascendentali, egli le deduce secondo una doppia ripartizione, prima considerando l'ente in se stesso o rispetto ad altri, poi positivamente o negativamente. Così si hanno quattro combinazioni:
a) in sé, positivamente: res (ciò che ha essenza)
b) in sé, negativamente: unitas (non ci sono divisioni interne)
c) rispetto ad altri, negativamente: aliquid (essere diverso dagli altri)
d) rispetto ad altri, positivamente: essendo conveniente ad un altro ente ed in particolare all'anima che "in certo qual modo è tutte le cose"; ma poiché l'anima ha due appetiti, conoscitivo e volitivo, ne seguono due trascendentali, il verum (in quanto conveniente all'intelletto) ed il bonum (in quanto conveniente alla volontà).
In conclusione si hanno quindi cinque trascendentali, ma la res e l'aliquid sono propri solo degli enti creati, poiché il primo si ha con la distinzione di essenza ed atto di essere, il secondo si da nella molteplicità degli enti e non avrebbe senso attribuirlo a Dio (non è opportuno considerare Dio come l'Altro assoluto, poiché sarebbe posto come termine secondario in relazione all'uomo). Manca invece il pulchrum, che può essere considerato conveniente in qualche modo sia all'intelletto che alla volontà, procurando piacere in ciò che viene appreso dall'intelletto, ma S. Tommaso non ne parla esplicitamente in questa questione.
Nel resto del corpo dell'articolo e nelle obiezioni favorevoli e contrarie, S. Tommaso chiarisce il senso con cui devono essere intese le proprietà trascendentali, che aggiungno alla nozione di ente un significato di ragione:
a) non si distinguono (si dice che convertuntur, nel senso che non c'è tra di essi distinzione reale e se c'è l'uno, c'è anche l'altro);
b) ma non sono sinonimi (cioè come nozioni sono distinte e non c'è identità di significato):
- unum aggiunge la negazione della divisione interna;
- aliquid aggiunge la negazione dell'identità con l'altro;
- res aggiunge il fatto che ogni ente creato ha un'essenza;
- Verum e bonum aggiungono che l'ente è oggetto dell'appetito dell'intelletto e della volontà, ma le cose non sono vere o buone per i nostri appetiti ma per avere l'essere.

3. Analisi dei trascendentali unum, verum, bonum e pulchrum.

a) Unum
L'unità trascendentale non è altro che l'indivisione propria dell'ente, ma è una nozione appresa successivamente a quella di ente.
Un essere che sia più perfetto gode di una maggiore unità epossono distinguersi i seguenti gradi:
- Dio possiede un'unità assoluta e semplice: non ha composizione di principi, di elementi o di parti;
- gli angeli hanno composizione solo di essenza e atto di essere;
- gli esseri materiali hanno anche composizione di materia e forma e si possono corrompere e separare;
- un grado inferiore di unità è quella tra sostanza e accidenti;
- ancora inferiore è l'unità di ordine che si basa sull'accidente relazione.
Il molteplice è conseguenza dell'unità: indica una certa unità, ma nega l'identità dei molti.
Nozioni derivate dall'unità: identità (uno nella sostanza), uguaglianza (nella quantità), somiglianza (nella qualità).

b) Verum
Il concetto di verità si attribuisce ai giudizi, ma la verità dell'intelletto dipende dall'essere: l'ente è vero in quanto l'essere è intelligibile (enti più perfetti sono più intelligibili).
Relazione della verità rispetto all'intelletto umano e divino:
L'Intelletto divino fonda la verità degli enti creati e la verità degli enti è fondamento e misura dell'intelletto umano.
L'intelletto umano è di per sé ordinato alla verità
L'adeguazione dell'intelletto con gli enti ha fondamento sull'essere di entrambi.
La falsità si dà nell'intelletto come non adeguato alla realtà, ma non si ha falsità in sé (es.: moneta falsa).

c) Bonum
Il bene di ogni ente consiste nell'essere secondo la propria natura; mali sono le privazioni che si oppongono alla perfezione naturale dell'ente; tutto ciò che è, è buono secondo il suo essere (a. 2).
Il bene aggiunge all'ente una relazione di ragione rispetto alla potenza appetitiva: il bene è "un ente perfettivo di un altro a modo di fine" (a. 1).
Il bene rispetto alla volontà umana e Divina: la volontà umana vuole le cose in quanto sono buone, ma il Volere Divino è fondamento della bontà delle creature (aa. 4-5).
Tre modi di possedere una perfezione anloghi alla concezione agostiniana per la quale il bene creato consiste nella misura, nella specie e nell'ordine: perfezione rispetto alle proprie caratteristiche o dimensioni (misura); perfezione rispetto alle proprie capacità operative (specie); perfezione in quanto viene conseguito il fine a cui si tende (ordine) (a. 6).

d) Pulchrum
S. Tommaso tratta del bello nella Summa Theologiae, I, q. 5, a. 4 e definisce il bello come "ciò la cui contemplazione piace", quindi si può considerare la bellezza come un tipo particolare di bontà, poiché essa corrisponde ad un appetito che viene soddisfatto dalla contemplazione del bello; è particolare poiché non è necessario possedere la cosa, ma ne è sufficiente la conoscenza.
Il fondamento della bellezza di una cosa sono le caratteristiche che la rendono tale, quindi, in definitiva dipendono dal suo essere.
Per S. Tommaso, una cosa può essere bella, oltre che per avere l'essere (secundum quid), per tre motivi (simpliciter):
- armonia e proporzione del soggetto in se stesso e in relazione a ciò che lo circonda;
- integrità o completezza del soggetto in relazione alle perfezioni richieste dalla sua natura;
- lo splendore, riferito sia all'ambito materiale che spirituale.
Anche la bellezza si può possedere secondo gradi:
- le sostanze spirituali posseggono tutta la bellezza che corrisponde al loro grado e modo di essere
- negli enti composti la bellezza si presenta con maggior frazionamento e dispersione.

Bibliografia:
T. ALVIRA - L. CLAVELL - T. MELENDO, Metafisica, Le monnier, Firenze 1987.
A. ALESSI, Metafisica, LAS, Roma 1992.
J.A. WEISHEIPL, Tommaso D'Aquino, Jaca Book, Milano 1988.
S. TOMMASO D'AQUINO, Le questioni disputate - la verità, 3 Voll., Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1992.